Reddito d’inclusione e reddito di cittadinanza: cosa succede nel resto d’Europa e in Canada
Una ricerca delle Fondazioni Astrid e Circolo Fratelli Rosselli affronta il tema delle politiche di contrasto alle povertà, con un’analisi dei più importanti esempi nazionali europei di reddito di inclusione, la ricostruzione dello scenario italiano e un capitolo dedicato al Canada
Nadia Deisori
Mentre in Italia il dibattito sul reddito di cittadinanza è più acceso che mai, è stata di recente pubblicata la ricerca, a cura delle Fondazioni Astrid e Circolo Fratelli Rosselli, “Nuove (e vecchie) povertà: quale risposta? Reddito d’inclusione, reddito di cittadinanza, e oltre” (il Mulino).
Frutto di oltre un anno di studi e ricerche, è un volume utile per uno sguardo alle esperienze europee in tema di sostegno al reddito, in attesa di conoscere lo schema che assumerà il cosiddetto “reddito di cittadinanza” in Italia. E sceglie il Canada come unico caso fuori dai confini europei per mettere sotto la lente le politiche oltreoceano.
“NUOVE (E VECCHIE) POVERTÀ: QUALE RISPOSTA?”
Più del 15% dei residenti Usa e oltre 5 milioni di residenti in Italia vivono oggi al di sotto della soglia della povertàassoluta, e 120 milioni di persone nell’UE sono considerate a rischio di povertà e esclusione sociale. Alcune ricerche stimano che alla fine del prossimo decennio quasi il 50% dei posti di lavoro oggi esistente in Italia saranno scomparsi. Sono solo alcune delle cifre ereditate dal crollo economico del biennio 2007-2008, che ha profondamente cambiato il tessuto sociale mondiale.
La trasformazione tecnologica in atto inonda di nuove opportunità l’industria 4.0, ma ha rivoluzionato e continuerà a stravolgere il mercato del lavoro. La crisi del welfare tradizionale, come era stato concepito in una logica assicurativa, concentra la riflessione europea e globale su quali politiche adottare di contrasto alla povertà e come trovare le risorse per estendere gli istituti previdenziali oltre il lavoro subordinato, sempre più verso i principi di un universalismo progressivo.
La ricerca, realizzata in collaborazione con il Dipartimento di Scienze per l’economia e l’impresa (DISEI)dell’Università degli Studi di Firenze e con il CISA (Centro interaccademico per le Scienze attuariali e di Gestione dei rischi), la ricerca è introdotta da Tiziano Treu, con la prefazione dei due presidenti delle Fondazioni, Franco Bassanini e Valdo Spini, è strutturata in tre parti: Quadro generale, Case studies nazionali e una terza parte dedicata all’Italia.
La prima parte di Elena Granaglia si concentra sulle “Premesse generali e nodi critici”, con il grande merito di fornire innanzitutto alcune indispensabili definizioni di riferimento, per poi passare, con i contributi di Stefano Ronchi e Andrea Terlizzi, alle “Guidelines europee” e alle promesse mancate da parte di una politica sociale dell’Unione Europea ancora inadeguata. Chiude la parte introduttiva l’“Analisi dei profili di rischio e possibilità di reinserimento” di Augusto Bellieri dei Belliera, Marcello Galeotti, Marco Milano e Emanuele Vannucci del CISA (Centro interaccademico di Scienze attuariali e la Gestione dei rischi).
DEFINIZIONI: REDDITO MINIMO, REDDITO DI CITTADINANZA, ALTRI AMMORTIZZATORI SOCIALI
Il reddito minimo è un “trasferimento monetario di contrasto alla povertà, erogato a intervalli regolari a tutti i soggetti con risorse inferiori a una determinata soglia di povertà”, un reddito di inclusione sociale finanziato dalla fiscalità. Già qui emerge la prima confusione terminologica, soprattutto nella proposta italiana di reddito minimo proposta dal Movimento 5 Stelle, che viene impropriamente definita “reddito di cittadinanza”. Il reddito di cittadinanza è invece cosa diversa, ovvero “un trasferimento erogato su base individuale, a prescindere dalla risorse detenute e dalla disponibilità a lavorare”. Il reddito minimo va anche distinto da altri ammortizzatori sociali che sono “a stampo contributivo e hanno la funzione di normalizzazione del reddito guadagnato nel ciclo di vita”. Il reddito minimo invece è finanziato dalla collettività quando il reddito, anche se normalizzato, è insufficiente.
IL DISEGNO DEL REDDITO MINIMO: GLI ELEMENTI DA CONSIDERARE
Si può giungere a costruire modelli diversi di reddito minimo, una volta che si definisca:
- come vada definita la povertà;
- quale platea di beneficiari si debba considerare;
- quali condizionalità prevedere per la concessione di un reddito minimo, distinguendo tra un’attivazione cosiddetta esigente (demanding) con l’obbligo per il beneficiario ad accettare qualunque lavoro proposto, e un’attivazione più liberale (enabling) che tenga conto della qualità del lavoro attraverso politiche di promozione del lavoro e sostegno all’impiego;
- quali altre misure far eventualmente dialogare con il reddito minimo: trasferimenti per bisogni specifici, trasferimenti categoriali a lavoratori poveri (es. credito d’imposta), trasferimenti finanziati dai datori di lavoro o dai lavoratori stessi, politiche di sostegno al costo dei figli, etc;
- quali effetti sul mercato del lavoro aspettarsi: concorrenza al ribasso tra chi è incluso nel reddito e i lavoratori più svantaggiati che sono esterni al sistema del reddito minimo, salari netti più bassi, etc;
- quali problematiche considerare: in primis le coperture finanziarie, in un contesto economico, come in Italia, di crescita lenta o decrescita, il contrasto agli abusi, la creazione di lavoro e l’integrazione quindi delle politiche di sostegno al reddito con altre politiche strutturali come le politiche sulla formazione e istruzione, le politiche per la crescita, le politiche per le infrastrutture e la mobilità.
La seconda parte della ricerca è dedicata all’analisi delle esperienze in tema di sostegno al reddito in ambito europeo e in Canada.
Con tempi e modalità diverse, infatti, tutti i paesi europei (Grecia e Italia in coda) hanno adottato politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Il volume, curato dalle due fondazioni specializzate nella ricerca e nella riflessione sulle politiche pubbliche, si concentra sull’analisi comparativa di quanto è stato fatto nei paesi dell’Europa occidentale: Francia e Germania (Andrea Ciarini), Spagna (Alessandro Carli, Lorenzo Corsini, Giorgia Giovannetti e Elena Monticelli), Paesi scandinavi (Paolo Borioni), Gran Bretagna (Gianluca Busilacchi) e, infine, analizza la situazione del Canada (Alessandro Carli, Lorenzo Corsini, Lapo Filistrucchi, Giorgia Giovannetti e Elena Monticelli).
LE POLITICHE DI SOSTEGNO AL REDDITO IN CANADA
Unico caso non europeo presentato dai ricercatori è quello del Canada, che ha avviato già negli anni Settanta i primi esperimenti di sostegno al reddito: si fa riferimento ad esempio al MINCOME attivo nella città di Dauphinnella Provincia di Manitoba dal 1974 al 1979.
Nel 2017 sono state 600 mila i nuclei familiari coinvolti in programmi di assistenza al reddito in Canada, circa 1,1 milioni di individui i beneficiari. Secondo gli studi fatti, le zone più coinvolte sono risultate le regioni del Sud (più popolate e industrializzate), mentre inferiore è stato il numero di beneficiari al Nord (zone rurali). Tuttavia, il rapporto tra beneficiari e persone coinvolte è più alto nell’estremo Nord, caratterizzate da bassa densità abitativa. Un altro dato fondamentale emerso dalla ricerca è che i redditi derivanti da welfare non hanno sempre avuto un importo adeguato, risultando nella maggior parte dei casi non sufficienti a raggiungere il 50% del reddito mediano (soglia di povertà).
QUEBÉC: IL COMITATO DI ESPERTI SUL REDDITO MINIMO GARANTITO
L’analisi ci porta poi in Québec, la Provincia francofona del Canada. Il ministro dell’Occupazione e della Solidarietà Sociale François Blais ha di recente incaricato un Comitato di esperti sul reddito minimo garantito, presieduto daDorothée Boccanfuso, Professoressa al Dipartimento di Economia della School of Management all’Université de Sherbrooke, di documentare e analizzare il funzionamento dell’attuale sistema di sostegno al reddito del Québec, in vista dell’elaborazione di un nuovo modello che promuova l’inclusione sociale, tenga conto delle altre misure attive, operi una semplificazione delle procedure. Il Comitato ha quindi formulato, sulla base degli studi condotti, unrapporto finale con 23 raccomandazioni per migliorare il sostegno al reddito implementando un reddito minimo garantito, integrato con altri incentivi al lavoro, giungendo alla conclusione che sia necessario alzare la soglia di povertà per le persone di 65 anni e oltre e per le persone con disabilità, e stimolare maggiormente l’integrazione nel mercato del lavoro.
L’ONTARIO BASIC INCOME PILOT
L’esperimento canadese che ha registrato maggiore interesse è stato l’Ontario Basic Income, un programma pilotaavviato nella Provincia dell’Ontario e rivolto a circa 4 mila residenti. Il gruppo test è stato selezionato tra la popolazione residente dai 18 ai 64 anni con reddito inferiore a 34 mila dollari canadesi annui se single e 48 mila dollari canadesi annui per le coppie.
I beneficiari individuati, indipendentemente dallo status lavorativo, ricevono una somma proporzionale al proprio reddito per garantire un livello di reddito minimo pari al 75% del Low Income Measure. Il pilota è stato disegnato in modo che il gruppo sia monitorato, durante questa fase di sperimentazione, con interviste su stato di salute, occupazione e situazione abitativa e messo a confronto con un altro gruppo che non riceve il reddito di base. I beneficiari non sono costretti a lavorare, possono dedicarsi a attività formative e migliorare la propria istruzione, ma l’importo del beneficio diminuisce di 0,50 centesimi per ogni dollaro proveniente da eventuale attività lavorativa.
Il progetto pilota in Ontario ha fornito i parametri per stimare il costo di un Guaranteed Basic Income a livello nazionale. Finanziato con 50 milioni di dollari e partito nel 2018, sarebbe dovuto durare tre anni. Tuttavia, dopo l’elezione dei conservatori, il premier dell’Ontario Doug Ford ha annunciato l’abolizione dell’esperimento e l’interruzione dei benefici dal 31 marzo 2019. La decisione è stata accolta con delusione, tanto che è stata lanciata una petizione che ha raccolto oltre 20 mila firme in pochi giorni.
LA STORIA TRAVAGLIATA DEL REDDITO D’INCLUSIONE IN ITALIA
La terza parte del volume è interamente dedicata all’Italia, dove le politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale sono sempre state molto frammentate e il percorso che ha portato all’adozione di una misura di reddito minimo è stato difficile. A ricostruirlo è Stefano Toso, nel capitolo “Ricostruzione Storico – Analitica”: dall’esperimento del Reddito Minimo di Inserimento del 1998, alla Carta Acquisti del Governo Berlusconi, alla Nuova Carta Acquisti, etc.
Dal 2018, prima quindi della discussione attuale sul “reddito di cittadinanza” (così definito impropriamente, dato che si tratta di una misura di reddito minimo garantito), l’Italia ha finalmente una misura dedicata al contrasto della povertà, ultima ad averla adottata in Europa. Si tratta del ReI (Reddito di Inclusione) che, pur con alcuni limiti, costituisce il primo autentico segnale di una politica di lungo termine di inclusione sociale.
I CENTRI PUBBLICI PER L’IMPIEGO
Tema centrale per la comprensione delle politiche di sostegno al reddito e il confronto del caso italiano con i casi nazionali europei è il capitolo sui Centri per l’Impiego (“I Centri pubblici per l’impiego” di Emilio Reyneri). Il modello italiano rivela tutta la sua debolezza su questo aspetto molto più avanzato nei paesi dell’Europa occidentale e che è attualmente in fase di riforma da parte del Governo italiano. L’Italia, con Grecia e Spagna, è infatti il paese che ha meno investito nel settore. Secondo l’OCSE abbiamo dedicato ai servizi pubblici per l’impiego una percentuale dello 0,01% del PIL nel 2015, le percentuali di Germania, Francia e Paesi scandinavi sono da 4 a 20 volte superiori. Gli operatori dei centri per l’impiego inoltre sono troppo pochi in relazione ai casi trattati, hanno un livello di istruzione molto scarso (solo il 28% è laureato, il 56% diplomati, 16% ha solo la licenza media) e svolgono principalmente attività burocratiche a discapito dell’orientamento professionale, della valutazione delle competenze, dell’organizzazione della formazione.
GLI ASPETTI ECONOMICI
In conclusione, gli indicatori economici (i dati sono riportati nel capitolo “Aspetti economici” dello studio sviluppato da Alessandro Carli, Lorenzo Corsini, Giorgia Giovannetti e Elena Monticelli) mostrano come l’Italia abbia visto progressivamente logorato il proprio tessuto sociale. Si vedano l’aumento del tasso di disoccupazione, dell’incidenza della povertà e delle disuguaglianze.
Tra le criticità che possono essere state di contrasto all’introduzione di misure a sostegno del reddito vanno citate la ridotta capacità di spesa, la disomogeneità territoriale, il mancato coordinamento tra i livelli amministrativi coinvolti, la necessità di una riforma lunga e costosa dei centri per l’impiego che garantisca reinserimento e rispetto delle condizionalità stabilite.
Inoltre, la spesa pubblica italiana, mediamente più alta di quella degli altri paesi europei, presenta al capitolo pensioni la voce più consistente. Un confronto tra la spesa pubblica in welfare in Canada, in Italia e nei paesi OCSE, mette in evidenza la diversa composizione della spesa sociale, tra quote destinate a finanziare le pensioni e quote che finanziano altre misure di sostegno al reddito, contrasto alla povertà e esclusione sociale. In Canada, dove la spesa sociale, se rapportata al PIL è inferiore rispetto alla media europea, la quota per le pensioni assorbe in misura minore il totale della spesa pubblica sociale, mentre si investe maggiormente su altri programmi di welfare. A discostarsi dallo standard europeo è invece l’Italia, che manifesta ancora uno forte squilibrio in questo senso. Le politiche di questo Governo e dei successivi, alle prese con il disegno di un reddito d’inclusione, dovranno necessariamente orientarsi per dare risposte a questo e alla debolezza strutturale italiana per quanto concerne le politiche attive per la creazione di lavoro e il reinserimento lavorativo, e in generale per un potenziamento del concetto di cittadinanza, che affronti il tema dei disincentivi alla ricerca di lavoro di chi riceve un reddito d’inclusione e dei possibili abusi.