A cura di Antonio Comerci
È un bel libro, un documento importante di un uomo strappato alla sua normalità, per diventare soldato ma riuscendo rimanere osservatore attento di quello che gli succede intorno. Intorno c’è la guerra, la prima guerra mondiale fra le montagne e le trincee, il rischio di morire in prima linea, il conforto di averla scampata e tornare nelle retrovie. Poi la lunga prigionia, un girovagare fra i campi di concentramento del grande impero, il lavoro nei campi in Boemia. Sono pagine toccanti e ricche di notizie sulla situazione di prigionia, quelle scritte da Faustino, dove sono ricostruiti i rapporti umani che si creavano fra gli internati, di diverse nazionalità, e fra questi e i loro carcerieri. Fino a quando arriva la notizia della resa dell’Austria e della pace e le sentinelle austriache corrono a braccia aperte verso i prigionieri gridando: “Italiani, è finita la guerra! Siamo tutti fratelli!”.
È un merito grande di Francesco Giannoni, il curatore del libro, quello di aver scoperto il diario del nonno e averlo pubblicato. A metà lettura occorre scontare una certa noia per il troppo ripetersi di fame, gelo, scarpe sfondate, vestiti laceri, bucce di patata che “averle era una fortuna”… Ma cosa poteva scrivere uno che è stato tre anni in campi di prigionia austriaci? E poi ci sono gli eventi storici visti da un’ottica particolare, quella dei prigionieri della prima guerra mondiale, che dà spunti nuovi e originali.
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