L’intervento di Valdo Spini durante l’incontro, organizzato da Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, Istituto Luigi Sturzo, Fondazione Istituto Gramsci, Fondazione Einaudi
[btn_big color=”blue” url=”http://www.sturzo.it/files/audio/20130109.mp3″ desc=”Subline”] AUDIO COMPLETO DEL CONVEGNO [/btn_big]
[btn color=”yellow” url=”http://www.rosselli.org/wp-content/uploads/2012/12/0001.jpg”]VOLANTINO[/btn]
[btn color=”orange” url=”http://www.rosselli.org/wp-content/uploads/2013/01/Comunicato-stampa-PDF.pdf”] IL COMUNICATO STAMPA [/btn]
Valdo Spini. Intervento alla tavola rotonda: “Le culture della repubblica e il futuro della democrazia italiana.”
Roma 9/1/2013
Il nostro intento è quello di sollecitare nel paese lo spirito di una nuova ricostruzione .Innanzitutto dal punto di vista etico-politico e quindi affermando la necessità della riforma elettorale e del rigore e della moralità nella vita politica stessa; dal punto di vista politico-istituzionale contrastando i nuovi tentativi di disarticolazione del nostro paese; dal punto di vista etico-sociale ponendo la drammatica disoccupazione dei giovani al centro e come priorità delle politiche economico-sociali del nostro paese.
Quando parliamo di culture della repubblica intendiamo parlare di quelle culture sottostanti alle forze politiche che, unitariamente, seppero risollevare un paese militarmente sconfitto, politicamente debolissimo, economicamente distrutto. Seppero quindi offrire un’alternativa al fascismo, dirigere politicamente la Resistenza, risolvere la questione istituzionale e formulare la Costituzione della Repubblica, avviare la ricostruzione.
Queste culture hanno visto cambiare radicalmente il loro scenario politico di riferimento con la caduta del muro di Berlino nel 1989; quello economico (anche se non lo hanno compreso fino in fondo) con il processo di unione monetaria avviato col trattato di Maastricht; quello morale , con la delegittimazione delle loro forze politiche di riferimento con tangentopoli e la caduta della cosiddetta seconda repubblica. Ciò ha portato ad innovazioni nella costituzione materiale del paese nel senso della instaurazione del bipolarismo, che nella fase più recente si è cercato –peraltro invano- di far evolvere verso un bipartitismo vero e proprio. Ma i risultati della seconda repubblica sono di fronte agi occhi di tutti: non c’è stata stabilità, non c’è stato sviluppo, non c’è stata capacità di reagire adeguatamente alla crisi finanziaria dell’area dell’Euro.
Oggi siamo di fronte ad un secondo tornante storico anche perché diversa è stata la soluzione di continuità tra una fase e l’altra. Qui l’elemento che ha precipitato la crisi della cosiddetta II Repubblica è stata la crisi finanziaria della zona euro e i suoi riflessi , già verificatisi o temuti per il futuro sulla situazione finanziaria della Repubblica, sul suo debito pubblico sulla sua capacità di adempiere agli impegni presi. La soluzione di continuità tra la fase politica della II Repubblica e quella che si sta per aprire è stata rappresentata dal governo “tecnico” di Mario Monti, composto da personalità che dovevano avere il requisito di non essere state elette in Parlamento, sostenuto da quella che è è stata definita la “strana maggioranza”, cioè da una sorta di grande coalizione mai costituitasi come tale. Il “governo tecnico” aveva come obiettivo riportare ad una situazione di credibilità europea ed internazionale i conti finanziari dell’Italia e lo ha fatto. Ma ora si apre una fase nuova, cioè il consolidamento di questo risanamento ma al tempo stesso la riapertura di un sentiero di crescita che valga ad uscire dalla recessione. (Secondo le stime dell’OCSE il 2012 vedrà una diminuzione del Pil del -2,7%, che costituirebbe il peggiore risultato tra quelli dei paesi G7.)
Per questa fase nuova si può parlare di prospettiva di “terza repubblica”? Certamente sotto determinati aspetti si. Manca però quello che caratterizzò il passaggio dalla prima alla seconda, cioè un cambio radicale di sistema elettorale. Allora si trattò di passare dal proporzionale quasi perfetto al sistema elettorale maggioritario misto che prende il nome dall’on. le Sergio Mattarella. Oggi si può dire che non ci troviamo più di fronte ad un bipolarismo che cerca di diventare bipartitismo come alle ultime elezioni del 2008, bensì ad un bipolarismo molto più articolato, con il tentativo anche di un nuovo centro di trovare nuovo spazio, ma pur sempre nell’ambito del precedente sistema elettorale, quello che non esito a definire il maledetto “porcellum”. Dico maledetto per la crisi di rapporto tra cittadini e istituzioni che ha portato, per il meccanismo di selezione verticistico della classe politica. Ma lo dico anche per i sistemi maggioritari che lo contraddistinguono, con un premio nazionale alla camera e tanti premi regionali al senato.
Se quindi nel caso precedente, la crisi della prima repubblica, con il governo mezzo tecnico mezzo politico di Carlo Azeglio Ciampi, il Parlamento aveva cercato, di essere l’incubatore della seconda, oggi, con il governo tutto tecnico di Mario Monti, il Parlamento non ha saputo o voluto trovare la strada di essere incubatore della terza. Vi è il fondato timore che questo possa essere fortemente pregiudizievole per il cammino del nuovo Parlamento, nonostante lo sforzo di consultazione che talune forze politiche hanno comunque positivamente effettuato. E questo credo che sia un punto fermo che le culture della repubblica devono oggi qui affermare: non deve essere possibile costituire una maggioranza che non abbia al centro la riforma del sistema elettorale. Certo che quella che sarà la maggioranza deve ricercare un confronto con quelle che saranno le opposizioni, ma in ultima analisi dovrà essere la maggioranza stessa responsabile della necessaria riforma. Le cittadine e i cittadini italiani hanno dimostrato in mille modi di non digerire il “porcellum” e a questa loro opinione dobbiamo dare sbocco politico.
A livello economico-sociale dobbiamo denunciare che ancora per vari mesi dovremo subire una pericolosa e dolorosa moria di imprese, mentre il dato veramente drammatico è quello della disoccupazione giovanile vero e proprio blocco della circolazione del sangue del corpo del nostro paese. Proprio ieri l’Istat ha diffuso i dati di novembre: ebbene il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il livello del 37,1 per cento rispetto al 36,5 per cento di ottobre. Il che significa che in assoluto,cioè togliendo gli studenti più di 1 giovane su 10 è disoccupato, oppure che più di uno su tre dei giovani attivi è disoccupato. C’è un nuovo acronimo Neet ( Not in Education, Employment or Training) e in Italia tra i 15 e i 29 anni sino più di due milioni – vedi studio Eurofound.
Il secondo fatto strutturale che vorrei richiamare è che la crisi ha accentuato il dualismo territoriale Nord-Sud del nostro paese. Lo ha ricordato recentemente un economista come Alberto Quadro Curzio, basandosi su dati del recente rapporto della Svimez.Ebbene , tra il 2007 e il 2012 il Pil meridionale è calato del 10%, ritornando al livello 1997 mentre il Pil procapite del 2011 è al 57,7% del centro nord. Amche questo è un punto strutturale dirimente.
Di fronte a fatti di questa portata si può veramente pensare che il confronto tra le nostre culture politiche si debba porre in astratto o addirittura in un rivendicazionismo della propria distinzione?
Oppure , come tra gli altri indicò Carlo Rosselli, sapendo operare una sintesi tra la spinta liberalizzatrice all’iniziativa individuale e il senso di responsabilità che la collettività nazionale deve avere verso fenomeni strutturali gravissimi di questa portata? Perché questa deve essere la matrice di quella politica di riforme che da varie parti e in vario modo viene invocata.
Avremmo preferito, lo dico sinceramente, che tra il momento del duro, difficile risanamento e il momento più che della ripresa, di quella che chiamerei la ricostruzione, non ci fosse oggi quella separazione politica che si esprime nella competizione tra le due figure di Mario Monti e di Pierluigi Bersani.
Oggi il nostro compito, il compito di quelle Fondazioni Culturali che si richiamano alle matrici ideologico-politiche della Repubblica, deve essere quello dallo stesso tempo di animare il dibattito e di tenerlo legato non a contrapposizioni aprioristiche ma alla capacità di affrontare la realtà e di risolvere i problemi reali , delle istituzioni, dell’economia, della società.
Ma per fare questo, dobbiamo riportare il dibattito politico italiano sul livello culturale internazionale ed europeo. E’ il nostro obiettivo per contribuire alla più generale credibilità dell’Italia e del nostro sistema- paese in questo difficile momento della sua storia. Questo significa da un lato inserirsi nel dibattito sul programma della seconda agenda Obama, questo significa sopratutto inserirsi con credibilità e autorevolezza nel dibattito europeo in modo da far prevalere, pur nella crisi, una Unione Europea delle opportunità rispetto all’Unione Europea dei vincoli e delle restrizioni. Questo significa partecipare con pienezza e autorevolezza al dibattito e all’iniziativa delle grandi forze politiche europee.
Questo dibattito non può restare una sorta di fiore nel deserto , un momento di incontro fine a se stesso, ma potrebbe diventare tematico e sistematico, naturalmente aperto anche ad altre fondazioni. Proprio mentre le forze politiche sono naturalmente concentrate sulle prospettive elettorali, che sono dietro l’angolo, ritengo fermamente che la nostra responsabilità sia quella di animare un dibattito che possa costituire il collante tra società civile e società politica sui temi strutturali, di fondo, di lungo periodo della società italiana. Coltivare le memorie non ha più senso se non ci si misura sul presente e sul futuro.