Nenni e la vittoria della Repubblica

Come si arrivò al 2 giugno 1946 e alla vittoria nel referendum istituzionale

di Ugo Intini (nella foto)

Il giorno della vittoria nel referendum, l’Avanti! che annunciava la fine della monarchia aveva in prima pagina anche il titolo “grazie a Nenni”, con una lettera al leader socialista firmata dal direttore Ignazio Silone e da tutti i redattori. Non era una esagerazione, perché in effetti la Repubblica si deve soprattutto a Pietro Nenni.

In fondo, era stato repubblicano fin da bambino quando, piccolo ribelle, scrisse sul muro dell’orfanotrofio che lo ospitava: “W Bresci” (l’anarchico autore dell’attentato al re Umberto). Sempre aveva individuato nella monarchia l’alleato del privilegio, il nemico della povera gente e della libertà (il che sarebbe stato confermato dal sostegno di Vittorio Emanuele al fascismo).

Nel carcere di Bologna, dove fu rinchiuso insieme a Mussolini (più grande di otto anni) per la manifestazione di Forlì del 1911 contro la guerra in Libia, lui era il repubblicano e Mussolini il socialista massimalista. Il ribelle di un tempo, da leader politico e uomo di Stato, non sarebbe cambiato.

De Gasperi e Togliatti

Nella battaglia per la Repubblica fu l’unico a mantenere sempre una posizione irremovibile e di principio. Non così si può dire di De Gasperi. E non c’è da stupirsi perché la nascente Democrazia Cristiana si preparava a raccogliere il consenso dei conservatori e del potere economico che vedevano nella monarchia una garanzia di continuità e di ordine. Infine, il partito cattolico scelse in modo sofferto e a maggioranza la Repubblica, ma contro una gran parte del suo elettorato che, nel voto con le due schede separate, il 2 giugno 1946, votò DC per la Costituente e monarchia per il referendum. Ancora nel gennaio 1945, l’Avanti! clandestino accusava De Gasperi di essere il “signor ni” (incapace di dire con chiarezza “sì” o “no” alla Repubblica). E il leader democristiano ricambiava sostenendo che i socialisti danneggiavano, con il loro estremismo antimonarchico, la causa dell’antifascismo. La stessa mancanza di linearità fu di Togliatti (nome di battaglia Ercoli), con il quale Nenni si scontrò duramente nell’aprile 1944, per quella che l’Avanti! clandestino definì la “bomba Ercoli” e che alla storia passò come la “svolta di Salerno”. Come è noto, il leader comunista, appena rientrato dall’Unione Sovietica nell’Italia liberata del Sud, accettò imprevedibilmente di entrare nel governo Badoglio che avrebbe legittimato la monarchia giurando di fronte al re. Nenni, a differenza di Togliatti, in quel governo non entrò: i socialisti si rassegnarono al fatto compiuto e alla partecipazione soltanto per salvare l’unità antifascista. Capivano che Togliatti seguiva le direttive dei russi, i quali avevano un accordo con Churchill e gli americani per lasciare indeterminato il futuro della monarchia. Anche se ancora non sapevano quello che Togliatti sapeva invece benissimo, perché era stato informato da Stalin: che il mondo era stato sostanzialmente spartito e che l’Italia rientrava definitivamente nella sfera anglo americana.

La battaglia repubblicana

Nenni non accettava di rinunciare ai principi per la realpolitik. E infatti l’Avanti! clandestino, in polemica con i comunisti, già spiegava quale sarebbe stata la posta in gioco nella battaglia repubblicana. “C’è qualcosa di più importante – scriveva – della guerra ed è il fine della guerra. Il fine cioè di eliminare dalla direzione politica della Nazione le forze, gli interessi, gli uomini del 25 luglio e dell’8 settembre, che sono poi ancora quelli, sotto altre spoglie, del 28 ottobre 1922 e del 10 giugno 1940” (le date della marcia su Roma e della dichiarazione di guerra). L’Avanti! clandestino già anticipava persino quale sarebbe stata la ragione profonda dello scontro con i comunisti nei decenni successivi, perché contestava “la tesi che subordina la politica in tutti i Paesi agli interessi della diplomazia sovietica”.

Ci vorrà tempo prima che la moderazione e freddezza di Togliatti sul tema della monarchia finalmente si sciolgano di fronte alla pressione di Nenni. Soltanto il 12 novembre 1945 infatti il leader socialista, dopo un grande comizio congiunto al Palatino a Roma, potrà finalmente annotare sul suo diario. “Non v’è dubbio che l’odio della massa è oggi diretto contro il Quirinale. E questa è stata, in gran parte, opera mia. Anche Togliatti stamattina ha dovuto al fine pronunciare la parola Repubblica”.

La versione di Pertini

Pertini, come Nenni, non ebbe mai dubbi sulla priorità assoluta della battaglia per la Repubblica. Non dimenticava che in cima alla sentenza che lo condannava a undici anni di galera stava scritto “in nome del re”. Poiché non sono uno storico, posso essere utile soltanto ricordando quello che mi hanno raccontato a voce i protagonisti che ho avuto la fortuna di frequentare. In una lunga intervista la cui registrazione si trova conservata negli archivi del Parlamento (a disposizione degli studiosi) Pertini mi ha detto tra l’altro due cose: la prima nota agli addetti ai lavori, la seconda no (e in contrasto con qualunque trattato di storia). La prima è che gli inglesi temevano la caduta della monarchia e inventarono perciò un piano intelligente per salvarla. Il principe ereditario Umberto doveva essere nominato capo della Resistenza, paracadutato al Nord e nascosto sotto la protezione dei servizi segreti alleati. Il giorno della liberazione, alla testa dei partigiani, sarebbe sfilato lui e ovviamente, a questo punto, la monarchia sarebbe stata salva. Ma Pertini mi raccontò qualcos’altro. Lo riferisco per l’importanza della fonte, anche se gli storici ovviamente non sono d’accordo. Tutti conoscono la versione comunemente accettata: nel luglio 1943, dopo essere finito in minoranza al Gran Consiglio del fascismo, Mussolini andò a trovare Vittorio Emanuele nella villa Ada di via Salaria e fu arrestato (il tradimento sempre rimproverato alla monarchia dai fascisti). Ma Pertini riteneva che i due fossero in verità sostanzialmente d’accordo. Mussolini sapeva che la guerra era perduta e si affidava al re per salvarsi la vita (ciò che sarebbe avvenuto se i tedeschi non lo avessero individuato al Gran Sasso, prelevato e portato avventurosamente in Germania). Il gioco delle parti concordato con il re era secondo Pertini, per il Duce, una via d’uscita abile. Nessuno poteva accusarlo di viltà o di fuga: se ne andava di scena al tempo stesso con dignità e salvo. Pertini mi aggiunse che l’allora comandante dei carabinieri Cerica (quello che portò via Mussolini da villa Ada in ambulanza) la pensava come lui (si erano infatti frequentati nel dopoguerra quando il generale, nel 1943 fedelissimo del re, divenne senatore democristiano).

Avanti! Repubblica o caos

L’Avanti! era dopo la liberazione il più diffuso e più importante quotidiano del settentrione. Nenni e il suo braccio destro Guido Mazzali (che non a caso fu tra i più grandi pubblicitari del tempo) fecero per la Repubblica una campagna referendaria di importanza decisiva, con slogan che sono restati nella storia. Il fresco “Vento del Nord” doveva spazzare le nubi dell’arretratezza e della conservazione. I monarchici spaventavano gli elettori evocando la prospettiva di violenze, rivoluzioni e colpi di Stato militari in caso di vittoria repubblicana. Ma l’Avanti! ribaltava l’argomento lanciando lo slogan “o la Repubblica o il caos”. E Nenni scandiva: “non succederà nulla, non deve succedere nulla”. La monarchia veniva indicata come anacronistica e ridicola: l’appellativo “re di maggio”, continuamente ripetuto per il figlio Umberto che era succeduto appunto il 6 maggio 1945 al dimissionario Vittorio Emanuele, gli resterà incollato per sempre. La caduta dei Savoia veniva data per scontata, addirittura attesa con trepidazione, perché il quotidiano socialista iniziò con i suoi titoli un count down. “Ancora 59 giorni di regno”. “Ancora 58 giorno di regno”. E così via.

Nenni e Saragat si divisero sapientemente i compiti. Il primo lanciò lo slogan “La Repubblica dei poveri”, insistendo sul concetto che la monarchia era l’ostacolo principale al progresso sociale e al riscatto degli esclusi. Il secondo, che aveva già perfettamente capito quale fosse il punto debole della sinistra e dove si sarebbero decise le partite politiche del futuro, martellava su quello che sarà il titolo di un suo fondo alla vigilia del voto: “appello ai ceti medi”.

Ignazio Silone: grazie a Nenni!

La febbre dell’attesa cresceva. La sera prima del referendum, una bomba venne lanciata contro la rotativa dell’Avanti! di Milano e ferì tre tipografi. “Una pagina che si chiude”, titolò il fondo di Nenni alla vigilia. “Le schede repubblicane che oggi seppelliscono la monarchia –vi si legge – mettono fine alla pagina più triste e dolorosa della nostra storia e schiudono all’Italia le vie luminose della rinascita, nella libertà, nella pace, del benessere di tutto il popolo. Cittadini alle urne!”. I socialisti ostentavano sicurezza. Ma tremavano, perché il risultato sarebbe rimasto incerto fino all’ultimo. Non esistevano ancora i computer. Si votò domenica 2 giugno, ma per tutta la giornata di martedì 4 giugno le edizioni straordinarie dei quotidiani ancora si susseguirono annunciando risultati contraddittori. Soltanto alle ore 3 della notte tra martedì e mercoledì 5 giugno, Nenni seppe con certezza che c’era la vittoria. Telefonò all’Avanti!: si preparò il titolo ma lo si tenne nel cassetto, perché il ministro dell’Interno socialista, Romita, imponeva di aspettare la conferma ufficiale. Radio Montevideo fu prima al mondo a dare la notizia. All’alba, finalmente, arrivò il via libera. Il capo redattore De Franciscis aprì il cassetto e tirò fuori il titolo preconfezionato. Corse in tipografia dal proto Checco, che aveva già tutto predisposto. Alle prime luci, il quotidiano socialista gridava a nove colonne per le strade di Milano e di Roma: “Repubblica”. Un occhiello e un sommario aggiungevano. “Il sogno centenario degli italiani onesti e consapevoli è una luminosa realtà”. “Essa fu costruita pazientemente con il sudore e il dolore di milioni di lavoratori”. Nenni annotò nel suo diario. “Una grande giornata, che mi ripaga di molte amarezze e che può bastare per la vita di un militante”.

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