Istituti di cultura ieri e oggi: la Fondazione Rosselli. Intervista a Valdo Spini

Fonte: https://www.pandorarivista.it/articoli/istituti-di-cultura-ieri-e-oggi-la-fondazione-rosselli-intervista-a-valdo-spini/

Interviste – 25 Ottobre 2020

Istituti di cultura ieri e oggi: la Fondazione Rosselli. Intervista a Valdo Spini

Scritto da Giacomo Bottos

Questa intervista a Valdo Spini inaugura un ciclo di conversazioni con esponenti di Fondazioni e Istituti culturali che ha l’obiettivo di ricostruire elementi della storia di queste realtà e di capire come è cambiato rispetto al passato il loro lavoro, quali sono le sfide attuali e le principali tendenze per il futuro.

Valdo Spini è Presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, nel 1981 ha fondato, e tuttora dirige, la rivista di politica e di cultura «QCR/Quaderni del Circolo Rosselli». Presidente dell’Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane (AICI) e Presidente del Coordinamento delle Riviste Italiane di cultura (CRIC). Docente di Storia delle relazioni economiche internazionali alla Facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri dell’Università di Firenze. Eletto alla Camera dei Deputati per otto legislature, più volte Sottosegretario e Ministro.

 

Per iniziare ti chiederei di ricordare l’inizio delle tue attività presso la Fondazione Rosselli…

Valdo Spini: L’inizio risale molto addietro nel tempo, quando era un Circolo non ancora costituito in Fondazione. Facevo parte di un gruppo di giovani – ventenni – della sinistra socialista lombardiana, che si ritrovava appunto al Circolo Rosselli, che continuava a permanere a Firenze, anche grazie all’impegno di un militante di Giustizia e Libertà, Nello Traquandi, ferroviere e unico non intellettuale che si vede comparire nella foto di gruppo di “Non mollare”. Il Circolo di Cultura Politica Fratelli Rosselli era stato fondato nel settembre 1944, a Liberazione appena avvenuta, dal Partito d’Azione come ricostituzione del Circolo di Cultura animato dai fratelli Rosselli dal 1920 al 1924. Proprio nella notte dell’ultimo dell’anno 1924 il Circolo era stato assalito e devastato dai fascisti e pochi giorni dopo chiuso d’autorità, Il rinato Circolo era stato tenuto a battesimo dal più illustre dei soci superstiti, Piero Calamandrei e aveva svolto agli inizi un intenso lavoro culturale.

Per molti motivi, in particolare per l’intensa attività di partito che coinvolgeva ormai nel Psi gli ex azionisti fiorentini, il circolo non svolgeva più un’attività organica ma, alla fine degli anni Sessanta ritenemmo che fosse importante recuperare e rilanciare questa tradizione e organizzammo un ciclo di incontri rivolto ai giovani del Sessantotto. Di fronte alla difficoltà di inquadrare in un vero e proprio dibattito politico il movimento del Sessantotto, pensammo che fosse utile sostenere che non esistesse un’unica ortodossia, ma piuttosto diversi modi di concettualizzare l’evoluzione del mondo. Organizzammo quindi un ciclo di incontri sui marxismi, proprio per dimostrare che non esisteva un unico marxismo ma ve ne erano diversi. Inaugurò questo ciclo Michele Salvati, che allora trattava della divisione del lavoro in un celebre saggio che fu pubblicato sui Quaderni Piacentini. Dopo, ci furono Giuseppe Vacca su Gramsci, Tito Perlini sulla Scuola di Francoforte, Edoarda Masi sul comunismo cinese e Norberto Bobbio sul socialismo liberale. Questo ciclo ebbe un grande successo perché in quel periodo non vi erano altre offerte culturali di questo genere. Tutti i gruppi o formazioni del Sessantotto proponevano la propria ortodossia agli appartenenti al movimento. Noi, invece, non offrivamo un’ortodossia, bensì una discussione pluralistica. Un fatto interessante di quel periodo fu che un nostro punto di riferimento, il professor Sergio Moravia – recentemente scomparso –, ci raccontò di essere stato ripreso dalla Federazione del Partito Comunista, della quale era membro, per aver dato il suo supporto al Circolo Rosselli. Questo per dire le difficoltà che una discussione di questo tipo incontrava.

 

All’epoca in cui è entrato, come si articolava l’attività del Circolo Rosselli, quali erano le attività principali svolte? Più in generale, quali erano i meccanismi di una fondazione culturale di quel tipo?

Valdo Spini: Quando entrai nel Circolo Rosselli la sua principale attività consisteva nella commemorazione delle persone decedute. Il circolo aveva avuto un certo rilancio nel 1962 quando, sotto la guida di Alberto Scandone, costituimmo un movimento di studenti medi che si chiamava Nuova Resistenza, che vi si insediò. Quando successivamente Nuova Resistenza venne meno – secondo una dinamica tipica di queste organizzazioni giovanili contrassegnate da evoluzioni cicliche – il circolo ritornò nuovamente alla sua precedente attività commemorativa.

Questo creò le condizioni perché il nostro gruppo potesse ripartire da zero, rilanciandone le attività. Lasciammo uno spazio anche all’aspetto storico e rievocativo, ma quello che suscitò in noi maggiore interesse fu la comprensione del Sessantotto e la questione della riforma universitaria. Il nostro gruppo di giovani organizzava vari congressi e incontri, ma le diverse presidenze che si sono succedute – prima di Enzo Enriques Agnoletti e poi di mio padre Giorgio Spini – tutelavano al tempo stesso i vecchi soci, che a quell’epoca restavano presenti nel circolo. Facevamo inoltre molta politica e a poco a poco prendemmo in mano la Sinistra Socialista Fiorentina, che aveva come leader Tristano Codignola, che a suo tempo aveva guidato il Partito d’Azione fiorentino.

 

Quali erano all’epoca i principali soggetti sulla scena culturale fiorentina con i quali voi interagivate e interloquivate?

Valdo Spini: C’erano naturalmente varie presenze, come un circolo molto vicino al partito comunista (che dette impulso per un certo periodo ad un nuovo “Circolo di Cultura”) o un circolo socialista vicino alla maggioranza del Psi, che si chiamava “L’incontro”, ma il Rosselli si distingueva per il suo particolare impulso di pluralismo e di apertura che mancava ad altri. Nel frattempo, comunque crescevamo politicamente: nel 1975 diventai consigliere comunale e nel 1979 deputato. La possibilità di svolgere attività politica, anche a livelli elevati, non ci distolse dal proseguimento della nostra attività culturale. Fu proprio questo, infatti, l’elemento di vitalità di questo gruppo sulla scena fiorentina, se non nazionale: l’aver sempre proseguito tanto l’attività politica quanto quella culturale nel circolo. Nel 1981, al congresso socialista di Palermo – quello che decise di cambiare lo statuto in modo da eleggere il segretario – che allora era Craxi – in Congresso e non più da parte del Comitato Centrale – arrivai con due numeri dei neonati Quaderni del Circolo Rosselli. I numeri che avevo portato con me e che distribuii ai vari dirigenti dell’epoca contenevano “I quadri dello P.S.I.” di Sergio Mattana e il “Liberal socialismo” di Paolo Bagnoli. Un evento, legato a questo episodio che vale la pena ricordare è che Enrico Berlinguer, che portò a quel Congresso il saluto del Partito Comunista, girando tra gli stand, li vide ed iniziò a parlarne con la nostra Lucia Ferretti, la quale ci raccontò successivamente che Berlinguer si interessò e si congratulò per le pubblicazioni del circolo.

 

Nacquero allora i Quaderni?

Valdo Spini: Come succede in questi casi, l’idea di pubblicare i Quaderni arrivò un po’ per caso. Avendo i due manoscritti di Paolo Bagnoli e di Sergio Mattana decisi di portarli in visione alla casa editrice fiorentina Le Monnier, perché nella famiglia proprietaria, vi era un mio compagno di studi di Economia e Commercio, Vanni Paoletti. Lui mi consigliò di andare da un funzionario, il dottor Cardoso, che era allora malato ed era ricoverato nella clinica di Santa Maria Teresa. Questo funzionario non capiva il perché proponessimo due pubblicazioni separate. Visto che realizzavamo molte iniziative e conferenze, ci consigliò di trarre a partire da questi due manoscritti i primi due esemplari di una rivista, suggerendoci anche il titolo: Quaderni del Circolo Rosselli. E come casa editrice La Nuova Guaraldi, a loro legata. La chiamammo Quaderni in ricordo della rivista di Rosselli che si chiamava Quaderni di Giustizia e Libertà e decidemmo di darle una periodicità trimestrale. L’idea, quindi, era di avere uno strumento per lasciare una traccia scritta delle cose che dicevamo e che facevamo. Fu un’idea effettivamente felice. I Quaderni toccano quest’anno il quarantesimo della loro esistenza. Come succede spesso hanno cambiato varie case editrici, ma non hanno mai smesso di uscire e credo che questo faccia di essi una rivista abbastanza longeva. Ora sono editi da Pacini, Pisa.

 

Antecedentemente il circolo aveva riviste o altre proprie pubblicazioni?

Valdo Spini: No, direi che non ce ne era bisogno, ce l’avevano già. Codignola, come editore, pubblicava Il Ponte, la rivista fondata e diretta da Piero Calamandrei e, dopo la sua morte, da Enzo Enriques Agnoletti. In verità in precedenza il Circolo Rosselli, allora situato in Piazza della Libertà, al numero 15, era stato via via la sede delle varie formazioni politiche a cui aveva dato vita il gruppo degli ex-azionisti fiorentini. Nel 1947 il Partito d’Azione si sciolse e gli azionisti fiorentini, come in parte gli azionisti torinesi, non confluirono nel Partito Socialista di Lombardi o nel Partito Repubblicano con La Malfa. Dettero vita con varia fortuna a gruppi intermedi, che non si identificarono né con Saragat né con Nenni, fino ad arrivare nel 1953 al Movimento di Unità Popolare, movimento che nacque contro la legge maggioritaria Scelba, la cosiddetta “legge truffa”. Unità Popolare, con i suoi voti, non prese seggi ma fu abbastanza decisiva per non fare scattare il meccanismo maggioritario. In seguito Unità Popolare, con il suo leader Tristano Codignola, confluì nel 1957 nel Psi in cui aveva vinto la linea autonomista di Nenni e di Lombardi. Successivamente, ci fu un periodo in cui, in parallelo con la nascita del centrosinistra a Firenze con Giorgio La Pira e Nicola Pistelli da un lato e i socialisti, con gli ex-azionisti di Codignola e Agnoletti, dall’altro, il Circolo Rosselli animò, insieme al circolo di Pistelli, una serie di iniziative e confronti. Gli adulti dell’epoca, però, erano ormai talmente impegnati nelle vicende politiche e professionali che di fatto abbandonarono il circolo, che rimase privo di un’attività vera e propria. Gli intellettuali della prima e della seconda resistenza, tra i quali Nello Traquandi svolse un ruolo di collegamento, erano stati un gruppo eroico nella Resistenza fiorentina, che suscitava in noi un fascino enorme e con i quali mantenemmo una certa continuità, riuscendo però anche al contempo ad organizzarci autonomamente. Noi avevamo l’idea che i valori rosselliani e gli ideali di Socialismo e Libertà fossero fecondi per i giovani che stavano cercando un orientamento. Ne 1973 presentammo la prima edizione di Socialismo liberale di Rosselli. L’opera era stata pubblicata in precedenza, in maniera un po’ avventurosa, nel 1945, ma in seguito non era stata più edita. Festeggiammo poi nel 1975 l’anniversario del “Circolo di cultura”, il progenitore del Rosselli, e ora ci accingiamo a celebrarne il centenario (1920-2020). Devo dire che se non ci fosse stato questo afflusso giovanile il circolo sarebbe rimasto chiuso. Le persone anziane e adulte ormai avevano troppi impegni per potersene occupare.

 

Tra anni Settanta e gli anni Ottanta, quali erano, oltre a voi, i principali gruppi intellettuali che avevano come punto di riferimento il Partito Socialista?

Valdo Spini: In verità avevamo un certo primato. A quell’epoca nel Partito Socialista ci fu anche uno scontro perché il leader della maggioranza, prima nenniana, poi demartiniana era il senatore Luigi Mariotti, che si presentava come rappresentante dei ceti popolari del Psi che secondo lui volevano il centrosinistra e il governo con Nenni, rivendicando concretezza e riforme contro gli intellettuali astratti, sempre insoddisfatti e critici come gli ex-azionisti. Mariotti vinse questo scontro, perché la mozione locale proposta nel 1963 da Codignola – una specie di mozione lombardiana ante litteram –, che proponeva la rottura tra Lombardi e Nenni, ottenne solamente il 3%. La centralità del tema della “concretezza popolare” contro l’intellettualismo fece sì che gli intellettuali del Partito d’Azione fossero messi nuovamente all’angolo. E tuttavia, poiché si trattava di persone di valore, nessuno riuscì ad emarginarli del tutto, ma anzi riuscirono a mantenere sempre un ruolo importante e positivo. Possiamo dire che dal punto di vista culturale esercitavamo una certa egemonia. Più tardi, negli anni Settanta, quando Lelio Lagorio, assistente di Calamandrei, che aveva lasciato Codignola e si era unito a Mariotti, diventò Presidente della Regione, ottenendo una propria autonomia rispetto alla corrente socialista maggioritaria, fondò una rivista che si chiamava: Città e regione. Come Presidente di Regione Lagorio animava quindi una certa attività culturale, ma i rosselliani esercitavano comunque una sostanziale egemonia culturale all’interno del mondo socialista. Nell’area comunista i personaggi di rilievo erano all’epoca storici e filosofi come Garin, Luporini, e Ragionieri. C’erano anche scienziati, ma all’epoca il fulcro della presenza culturale era rappresentato da loro.

 

Rispetto ad oggi, volendo fare un quadro idealtipico, quali erano le principali modalità attraverso cui avveniva il dibattito intellettuale?

Valdo Spini: Certamente il convegno era la struttura principe. Ci fu ad esempio in quegli anni un importante convegno su Gramsci organizzato dal Partito Comunista. Ci fu anche una rivista interessante che si chiamava Politica e società, animata da elementi più giovani rispetto a Luporini e Garin, che erano Leonardo Paggi e Paolo Cantelli. Nel frattempo, il successo elettorale del Partito Comunista diventò eclatante: nel 1975 Firenze ebbe una giunta di sinistra, e nel Consiglio Comunale c’erano 25 comunisti e 6 socialisti. I socialisti divennero determinanti per avere la maggioranza e quindi ottennero un vicesindaco e 4 assessori mentre personalmente rimasi in consiglio a fare il capogruppo. Il fattore che ci caratterizzò fu il nostro grande impegno in politica nella corrente della sinistra lombardiana, ma sempre sorretto e mantenuto da un impegno culturale che rappresentava la nostra linfa vitale, perché fu proprio questa egemonia culturale che esercitavamo che ci permise di non essere schiacciati del tutto. Potevamo essere battuti, ridimensionati, ma mai del tutto eliminati perché all’interno dell’area socialista ci veniva riconosciuto questo elemento importante.

 

Cosa cambiò con gli anni Ottanta?

Valdo Spini: Negli anni Ottanta Rosselli diventò di moda. Craxi all’inizio della vicenda, ancora nel 1976, sulla suggestione di Luciano Pellicani, autore del Vangelo socialista, contestò il marxismo in nome di Proudhon. A mio parere fece un errore: una contestazione in nome di Rosselli sarebbe stata più comprensibile. Rosselli a mio avviso è stato il primo pensatore post-marxista della storia italiana, colui che trasse il dibattito fuori dalla dicotomia riformismo-massimalismo. Non è infatti un caso che da Giustizia e Libertà di Rosselli provengano le figure di Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini e da questi due, successivamente, Paolo Sylos Labini, autore del Saggio sulle classi sociali. Quest’ultimo fu un libro che presentammo a Firenze e che fu abbastanza contestato perché, da un punto di vista sociologico, Sylos Labini usciva dalla tradizione marxista, affermando la maggiore complessità della società rispetto alla rappresentazione data da Marx nell’Ottocento. Nel 1981 nascono i Quaderni del Circolo Rosselli, – l’ho ricordato – i primi due numeri li porto al Congresso Psi di Palermo. Li consegnai a mano al segretario Craxi e ad altri leader socialisti, e qualche mese dopo diventai vice segretario del Psi in rappresentanza della sinistra, insieme a Claudio Martelli che rappresentava la maggioranza craxiana. E che nel 1984, dopo il congresso di Verona, quello dei fischi a Berlinguer, diventò vicesegretario unico. Carlo Rosselli venne poi introdotto ufficialmente nel dibattito del Psi alla seconda conferenza di Rimini, alla quale partecipò, accolto con grandi onori, Norberto Bobbio e al successivo congresso di Rimini (1987) quando fu chiamato a commemorarlo Giorgio Spini. Comprendemmo allora, che, per quanto fossimo affezionati alla formula del vecchio e glorioso Circolo, bisognava fare un salto in avanti, anche perché in quegli anni di Fondazioni ne sorgevano molte. Demmo quindi vita alla Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, eretta in Ente Morale con Decreto del Presidente della Repubblica nel 1990. La Fondazione del Socialismo Liberale in Italia.

 

L’inizio degli anni Novanta è il periodo in cui nasce l’Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane?

Valdo Spini: Si, venne fondata nel 1992 e all’inizio sentimmo come Rosselli il dovere di partecipare all’AICI, ma non ci sentimmo particolarmente coinvolti. Il nostro coinvolgimento è più recente. Nel 2013 finita la presidenza di Franco Salvatori, già presidente della Società Geografica Italiana, la Segretaria dell’AICI, la compianta Lucia Zannino mi propose di diventare io stesso presidente dell’Associazione. Comprendendo come AICI svolgesse un ruolo di lobby delle Istituzioni e Fondazioni di cultura nei confronti di ministeri e istituzioni per la concessione di fondi e finanziamenti, accettai l’incarico alla sola condizione di poter anche e soprattutto a fare cultura. Nacque così l’idea di organizzare una serie di conferenze nazionali scegliendo le località in modo da investire tutta la Penisola. La prima fu a Torino nel 2014, poi a Conversano (Bari) nel 2015, poi a Lucca (2016), a Trieste (2017), a Ravello (2018) e l’anno scorso, nel 2019, a Firenze. Gli atti di queste conferenze sono stati tutti pubblicati. A causa del Covid-19 quest’anno, invece che in Sardegna, abbiamo organizzato il 5 ottobre una manifestazione dal titolo Riparti Italia, riparti cultura a Milano, nella regione più colpita. Il nostro obiettivo è quello di spiegare che nella società liquida contemporanea, e in particolare in una società italiana, per molti versi frammentata e disorientata, mantenere una bussola di ricerca culturale e sottolineare la continuità delle culture della Repubblica, sia pure in senso pluralistico, ha un grande valore. Posso affermare che in certe parti della società italiana o delle istituzioni questo messaggio sia passato. Lo denota anche il successo dell’AICI stessa, arrivata ormai a 125 soci, che sono di cultura politica, musicale e anche religiosa, visto il recente ingresso del centro di gesuiti di San Fedele. Da questo punto di vista, una azione di difesa della cultura intesa in senso pluralistico, senza strumentalizzazioni politiche, ma con un elemento di impegno politico, direi che abbia avuto successo. Un successo utile per la democrazia italiana. Tutto questo ha avuto un effetto positivo anche dal punto di vista economico, perché nel 2014 l’ammontare complessivo del fondo per le Fondazioni e gli istituti culturali era dimezzato rispetto al periodo precedente la crisi del 2007-2008 ed ora è invece non solo ha recuperato ma è stato addirittura aumentato.

 

Ricostruiamo anche l’ultima parte della storia della Fondazione Rosselli, cioè dagli anni Novanta a oggi.

Valdo Spini: L’elemento preponderante e vincente è stato quello di rappresentare il terreno sul quale è maturata l’iniziativa – anche se non coronata da un successo immediato – della riforma dei partiti e delle campagne elettorali. È da questi dibattiti che nasce anche la mia proposta di legge sulla trasparenza del finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali del l’1 agosto 1984. Questo tema si era affermato in vari convegni già negli anni Ottanta, cioè dieci anni prima di Tangentopoli. Questo ha fatto sì che con l’avvento di Tangentopoli, mentre partiti e punti di riferimento culturali venivano chiusi, la Fondazione Rosselli rimanesse integra, ottenendo maggiore autorevolezza. Credo che questo rappresenti un filo di continuità con il passato. A tutt’oggi, infatti, svolgiamo iniziative come, per esempio, quella relativa all’applicazione dell’Articolo 49 della Costituzione. Oppure ci proponiamo di entrare nel dibattito sul nuovo sistema elettorale alla luce della vittoria del sì al referendum sul taglio dei parlamentari. Il filone che ha caratterizzato la fondazione dagli anni Novanta, che penso continuerà a caratterizzarla e che l’ha resa un polo di dialogo interessante, è stato quello della riforma della politica in una prospettiva che contrastasse gli opposti rischi del conservatorismo e dell’antipolitica.

 

Riprendendo il discorso sulle forme della cultura, oggi, rispetto al quadro del passato, come sono cambiate le attività di una fondazione di cultura? Quali sono le differenze principali?

Valdo Spini: Come le realtà analoghe alla nostra, ci siamo dotati di un sito e di forme di comunicazione sui social. Essendo una fondazione di livello nazionale, ma con sede a Firenze, è più difficile ottenere visibilità rispetto ad altre Fondazioni che hanno sede a Roma o a Milano. Si è trattato dunque di misure valide e necessarie per aumentare la nostra audience. In questa direzione i social ci hanno assolutamente facilitato e incentivato. Il grande impulso al cambiamento però è stato chiaramente il Covid-19. Per evitare di cessare le nostre attività abbiamo cominciato a promuovere webinar e varie forme di conferenze online, riscontrando che molte persone, che prima non avevano il tempo e i soldi di venire a Firenze o a Roma, potevano fruirne in questo modo. È un elemento rispetto a cui non si potrà tornare più indietro. Naturalmente questo cambiamento comporta tre distinti aspetti. Il primo, chiaramente negativo, è la mancanza di empatia. Fino a poco tempo fa in una sala gremita si sviluppavano consensi, dissensi, simpatie, antipatie e contatti. L’empatia che si formava in quella sala adesso non c’è più e questo elemento è un fattore che manca e mancherà profondamente. Il secondo fattore è il miglioramento della qualità che si è portati ad offrire. Quando prima si organizzava una conferenza si sapeva di poter contare su un certo numero di partecipanti, che di solito coincideva con l’area dei nostri soci e simpatizzanti, interessati anche a venire semplicemente ad incontrarsi. Ora invece una conferenza deve offrire un prodotto che convinca qualcuno a collegarsi al computer e dedicare una parte del proprio tempo a questa attività. Se prima poteva bastare il piacere di incontrare le persone e magari di ascoltare le ultime novità, ora è necessario offrire un prodotto che convinca certe specifiche fasce di persone a seguirlo in rete. Il terzo aspetto riguarda la possibilità di interconnessione tra varie città e nazioni. Ad esempio alla conferenza dell’AICI a Milano è intervenuta una esponente dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che si collegava da Ginevra. Quest’ultimi due aspetti positivi devono essere assolutamente coltivati, ma per rimediare alla mancanza di empatia, secondo me, bisogna offrire più partecipazione, cercando di non scegliere dall’alto gli argomenti del webinar, ma di integrare nel processo decisionale la base tradizionale dei soci e degli spettatori, altrimenti il rischio è di un certo verticismo. Quindi facendo attenzione ai pericoli, i due aspetti positivi si possono e si devono assolutamente sfruttare.

 

Quali tendenze vedi per il futuro delle Fondazioni culturali e quali pensi che sia il compito che questo genere di istituti devono assumere oggi?

Valdo Spini: Esiste un vero e proprio vuoto tra la società civile e i partiti. Di partiti, come è noto, ne sono rimasti pochi e poco partecipati, non restano più molti circoli e in essi si svolgono poche riunioni. Mantengono il potere di fare le liste elettorali e si animano in quelle occasioni. Può darsi che in futuro i partiti tornino all’antico vigore, ma nel frattempo credo che le Fondazioni culturali, che possono avere un ruolo di collegamento tra società, politica, partiti e istituzioni, rimangano molto importanti. Naturalmente ci sono altri fenomeni di partecipazione quali, ad esempio, sono state le “Sardine”, ma l’efficacia di Fondazioni e Istituti culturali si misura sulla media e lunga durata, cioè sulla capacità di elaborazione, di critica, di suggerimento e di riflessione sulle tendenze e sui fatti nuovi. Credo quindi che ci sia un rapporto tra la buona salute dell’AICI e questo vuoto. Quando una persona interessata fa un bilancio del proprio tempo e decide di dedicare una parte di esso all’attività di riviste e Fondazioni significa che lo ritiene più proficuo rispetto all’impiego delle proprie energie in altri modi. L’altro tema fondamentale è relativo al legame con i giovani. L’AICI, ad esempio, con la costituzione del gruppo degli under 35 ha avuto un’intuizione vincente, che ha impedito che questa generazione, compressa da quella precedente, che ha costituito le Fondazioni, non trovasse spazio. Non a caso molte Fondazioni hanno più successo quando organizzano attività come università estive e scuole di formazione. Credo proprio che ci sia bisogno di trasmettere ai giovani questo messaggio e questa capacità di mobilitazione. L’impegno non deve risolversi solo in indignazione, ma anche in mobilitazione culturale.

 

Molti istituti, molte Fondazioni culturali sono caratterizzate costitutivamente da un rapporto con il passato, con il Novecento, ad esempio in quanto depositarie di archivi, o essendo legate a determinate figure politiche e culturali del passato. Come si tengono in equilibrio questa missione di conservazione e il ruolo da giocare nella società e nella politica presente?

Valdo Spini: L’interesse su quello che è avvenuto nel passato, in particolare nelle giovani generazioni, te lo giochi se sai dire qualcosa di interessante per il presente e per il futuro. Solo così ci può essere la curiosità nel ricercare da quale matrice proviene un certo discorso, quali siano gli antecedenti. Se semplicemente si offre la contemplazione o il rispetto nei confronti del passato si rischia di fallire. Quindi anche tutte quelle Fondazioni che sono intitolate a un grande pensatore o ad un grande politico, in realtà, se non vogliono essere autoreferenziali, devono giocarsi l’interesse verso il loro patrimonio storico sulla capacità di sapere dire qualcosa di buono per il presente e per il futuro. Con l’epidemia del Covid-19 ancora in atto, ce ne è un grande bisogno.

 

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