FAR RIPARTIRE UN PAESE FINITO IN LETARGO

Giovedì 18 febbraio, l’ultimo della serie di quatto incontri online organizzati da Fondazione Circolo Rosselli e Censis sulla situazione sociale dell’Italia causata dalla pandemia

 

Roma, 19 febbraio 2021 – “Il nostro Paese sembra seduto, in letargo, in trance. Mi sono sempre entusiasmato per la vitalità  italiana, ma oggi, se mi guardo intorno, non la trovo”. Sono le constatazioni di Giuseppe De Rita, presidente del Censis, ieri durante l’ultimo dei quattro seminari online organizzati dalla Fondazione Circolo Fratelli Rosselli insieme allo steso Censis per discutere sulle prospettive sociali aperte dalla crisi del Covid-19 in Italia. L’appuntamento di ieri si intitolava “Quello che resterà dopo lo stato di eccezione”.

De Rita ha ripercorso le tappe del 2020 che ci ha trovati, ha detto, “del tutto impreparati. Su tutti i fronti: sanitario, scolastico, politico. Siamo andati avanti rincorrendo il virus, ma anche la crisi economica. Che cosa è stata la stagione dei bonus se non una rincorsa dei bisogni?”. “Una delle tragedie – ha sottolineato poi il presidente Censis – è che abbiamo avuto una fragorosa comunicazione, che ha creato partecipazione emotiva, ma l’informazione è stata inesistente. E se le persone non sono informate, come si rimettono in gioco? Si sono intrecciati diversi problemi: da una parte, una politica che ha rincorso il contagio, dall’altro, una società spenta e in letargo, quasi disumanizzata. Di solito sono ottimista, ma bisogna avere consapevolezza dei rischi che stiamo correndo”.

 

“Il virus non ha colto un Paese in pieno sprint, consapevole dei propri problemi. La pandemia, anzi, ci ha trovati impreparati di fronte a questioni che stiamo accumulando da anni”, ha sottolineato l’economista Paolo Baratta. “C’è la necessità di un ripensamento di fondo delle cose, di un intervento pubblico, non di assistenza, ma che ridisegni il sistema, riattivando la vitalità dei soggetti”. In un’Europa nata per una convergenza economica dei suoi membri, ma che poi si è concretizzata in una divergenza fra Paesi più ricchi e Paesi più poveri, che crescono meno degli altri – come capita a noi da molto tempo – si rischiano dualismi non più recuperabili, ha spiegato ancora Baratta. “Che cosa rappresenta questo Recovery plan per l’Europa? E per noi in Italia? Ci limiteremo a fare le cose che servono ad altri Paesi o individueremo le aree dove vogliamo essere competitivi? In questo, occorre un’iniezione di nuova ambizione”.

 

Sui temi europei si è soffermato anche Roberto Castaldi, direttore Cesue e di Euractiv Italia.  “Va detto: chi ci sta tenendo a galla è l’Europa. Da qui dobbiamo partire per progettare un futuro per l’Italia”, ha affermato. “Il problema è anche saperle spendere le risorse. Solo in Campania dal 2007 ci sono 27 miliardi non investiti in due cicli pluriennali. Altri Paesi, come la Polonia, hanno usato quei fondi per farci ferrovie o scuole. Adesso la grande sfida è realizzare progetti credibili di trasformazione del Paese su alcune priorità fondamentali: transizione ecologica, digitale e aspetti culturali, come la parità di genere”. Spesso, ha sottolineato Castaldi, ci si lamenta delle norme europee, quando invece sono quelle italiane a ingolfare il sistema. “Si esalta il modello scelto per il ponte di Genova per la rapidità dell’intervento. Ebbene, in quel caso si sono seguite le regole europee”.

“Da una trentina di anni l’Italia è costantemente indietro rispetto ai Paesi avanzati. Oltre un quarto di secolo di decadenza storica, un declino che si legge nelle statistiche di produttività e di efficienza produttiva. In questo scenario, il Covid rappresenta un’occasione di rinascita o il colpo finale?”, si è chiesto il presidente di Telecom Italia Salvatore Rossi. “Personalmente sono ottimista. Penso che la decadenza storica possa essere sventata e rovesciata ma l’occasione data dall’Europa va presa sul serio. Vanno fatti progetti di investimento e le riforme. Queste, a costo zero, sono il presupposto stesso della buona riuscita dei progetti di investimento”.

 

Su che cosa resterà dopo il letargo si è soffermata Lucilla Spini, bio-antropologa dello IUBS working group on gender equality. “Si rischiano effetti su più dimensioni: salute e benessere, comunicazione e interazione, disuguaglianze. Oltre ai malati di Covid, parlando di benessere psicofisico, nessuno si può più dire in buona salute. Ci saranno effetti dovuti agli stili di vita sedentari, problemi di obesità anche infantile, così come disturbi mentali e da stress post traumatico. Sul fronte interazione sociale, assisteremo a persone sempre più sole e isolate, ci dovremo confrontare con la paure dell’altro e con la necessità di ricostruire reti di supporto. E, ancora, ci sarà il rischio dell’aumento di disuguaglianze. Anche sullo stesso piano di vaccinazione”.

 

L’imprenditore Andrea Puccetti ha incentrato il discorso sulla prospettiva delle imprese. Per le piccole e medie, la maggioranza in Italia, “Sarà importante che le risorse europee arrivino a tutta la filiera”, ha detto. “Ci dev’essere poi orientamento da parte dello Stato, che deve essere regolatore, anche in settori ad alta densità di capitale. Per far sì che questi grandi soggetti vincano la sfida internazionale e non vengano ‘saccheggiati’”.

 

“Spero che si faccia quanto ha detto il Presidente del Consiglio Mario Draghi illustrando il suo programma: che si parta dal punto di arrivo di quello che vogliamo essere nel 2026, alla fine del programma, e non da quello che siamo oggi semplicemente finanziando o rifinanziando quello che avevamo deciso in precedenza”, ha concluso Valdo Spini, presidente della Fondazione Circolo Rosselli. “Una prospettiva di ripresa non può che collocarsi in progetto delle istituzioni, del pubblico, cui le cittadine e i cittadini si sentano realmente associati. Altrimenti la vitalità e la spontaneità dei soggetti può non bastare.  Un ritorno della politica, allora. Ma di una politica basata sugli ideali e sui valori. Con l’arrivo di Draghi, è stato messo un punto a spinte come il populismo, il sovranismo e la rottamazione, che a torto o a ragione avevano animato gli anni passati, definiti dal Censis nel 2017 ‘società del rancore’. Credo che nella necessità di riempire questo vuoto possano agire tanti vettori di vario tipo, anche quelli delle fedi religiose. A livello politico noi, Fondazione Circolo Rosselli ci sentiamo di rivendicare l’impulso che può venire dai valori del socialismo liberale, dalla spinta all’iniziativa economica, anche individuale, alla qualificazione personale in un quadro di etica di responsabilità collettiva, sociale”.

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