Relazione Valdo Spini al convegno AICI

Valdo Spini

Relazione alla Conferenza Nazionale dell’AICI – Torino, 25 settembre 2014.

 Perché siamo qui

E’ un grande onore prendere la parola qui a Torino, a nome di più di cento tra Fondazioni e istituti culturali che hanno liberamente aderito all’Associazione delle Istituzioni Culturali Italiane. La nostra stessa riunione è segno dei tempi: dell’urgenza che le istituzioni culturali italiane ripropongano il valore della loro presenza e della loro attività e al tempo stesso la loro disponibilità a quel rinnovamento di metodi e di contenuti che contribuisca alla ripresa più generale dell’Italia, nella convinzione, come dice il nostro titolo, che l’Italia è cultura.

Mi piace richiamare anche  qui la definizione di cultura data a suo tempo da Edgar Morin: cultura è “l’insieme di abitudini, costumi, pratiche, …. saperi, regole …. valori, miti che si perpetua di generazione in generazione”. Tanto più questo è vero per il nostro paese se si pensa che, quando ancora la sua unità politica era lontana, personaggi come Dante, Petrarca, Lorenzo il Magnifico, Machiavelli parlavano d’Italia. In particolare va sottolineato che questo concetto nazionale di Italia è strettamente legato ai periodi  dell’Umanesimo e del Rinascimento, cioè a filoni culturali di grande apertura e non di nazionalismo provinciale.

Ma la cultura è anche condivisione del sapere e questo il compito delle associazioni culturali. Una delle caratteristiche del nostro paese è infatti una vasta presenza di istituti culturali di varia origine e livello e di una differenziata stratificazione storica. Credo che il più antico dei nostri associati sia l’Accademia della Crusca, fondata nel 1538, ma tanti e importanti sono gli istituti fondati in anni  recenti. E’ una ricchezza del nostro paese e per il nostro paese perché in buona misura essi sono scaturiti dalla “società civile” della cultura italiana e se  certamente si sono appoggiati in parte sul finanziamento pubblico, essi rappresentano, anche con le loro riviste –non dimentichiamolo-  un patrimonio di volontariato –quello appunto culturale- il cui valore spesso non viene riconosciuto.

Con questa Assemblea Nazionale vogliamo presentare alle istituzioni competenti e all’opinione pubblica italiana più in generale, l’articolazione e la ricchezza di cui l’Italia può disporre in questo campo.  L’Aici non è solo una rappresentanza dei problemi e delle attese delle Istituzioni Culturali, è essa stessa soggetto di iniziative e di attività culturali come dimostrato dalla nostra pubblicazione “Italia-Europa. Per una nuova politica della cultura” che qui presentiamo.

Vogliamo portare il nostro contributo ad una ripresa della cultura proprio perché siamo convinti che essa è stimolo indispensabile per la ripresa del nostro paese.

L’attenzione europea ed internazionale alla lingua e alla cultura italiane sono sotto gli occhi di tutti: la lingua italiana se non è tra le più parlate, è però tra le più studiate, pare la quarta in questa classifica. I nostri autori, i nostri periodi storici più significativi sono estremamente coltivati all’estero e il successo nelle biblioteche di tutto il mondo dei libri italiani e delle riviste italiane lo testimonia. Ma, non c’è solo il fascino che continuano ad esercitare l’Umanesimo e il Rinascimento e i suoi grandi esponenti italiani i cui nomi sono conosciuti in tutto il mondo, non c’è solo l’opera lirica ed altre espressioni culturali ormai tradizionali. L’attenzione è diretta anche verso la contemporaneità della nostra cultura, nelle sue forme più moderne  e popolari che hanno investito ed investono le nuove forme di attività culturali. Così l’attenzione alla letteratura, al cinema, al design italiano contemporaneo, agli stessi scrittori politici italiani e così via. Tutte insieme concorrono a creare quel brand Italia in cui cultura ed economia sono inestricabilmente connesse.

Nel complesso, gli istituti rappresentano una ricchezza straordinaria  e rispecchiano fedelmente il policentrismo, il pluralismo e la stratificazione culturale italiana, offrendo servizi di pubblica utilità e contribuendo in modo significativo, grazie anche alla digitalizzazione di parti consistenti del proprio patrimonio, a una migliore e più larga conoscenza della cultura e della lingua italiana in Italia e nel mondo, alla formazione dei giovani in un momento di drammatica crisi dell’occupazione giovanile.

I nostri istituti, le nostre Fondazioni sono quindi del tutto autonome l’una dall’altra ed articolate in modo del tutto originale. Sono diverse per consistenza e per tipo di attività. Ma perché siamo qui tutti insieme? Perché sentiamo l’esigenza di confrontarci tra noi e con chi può esprimere quanto il paese si attende da noi.

Il nostro ruolo (prendo spunto dai contenuti di uno scritto indirizzatomi da Massimiliano Tarantino) è legato all’identità del nostro paese. Certo quindi è conservativo di patrimoni culturali, storia, memorie ma ha anche altre quattro funzioni fondamentali: fare ricerca e quindi produrre nuovi contenuti culturali; fare diffusione e divulgazione, relazionandoci con le scuole e le università; attualizzare la gestione dei nostri patrimoni attraverso il digitale e a forme di didattica interattiva; in definitiva, portare nel terzo millennio le ragioni sociali, politiche, storiche della nostra società ai giovani. E questo sia sul piano nazionale che europeo.

 

Una decrescita infelice.

Purtroppo anche il mondo delle Fondazioni e delle istituzioni culturali è stato, negli anni scorsi, vittima non solo di una congiuntura economico-finanziaria sfavorevole – quella che è sotto gli occhi di tutti noi-  ma, peggio, di un contesto di pensiero sfavorevole, sintetizzato dall’infelice frase “la cultura non si mangia” pronunciata a suo tempo da un autorevole ministro della Repubblica, allora in carica. Secondo una rilevazione dell’Eurostat nel 2012, l’Italia sarebbe addirittura il fanalino di coda tra i 27 Paesi della UE nella spesa per la cultura. La crisi attuale dei beni culturali dipende da scelte politiche profondamente sbagliate e in aperto contrasto con l’articolo 9 della nostra Costituzione.

Tra parentesi, altrettanto sbagliato è pensare di lucrare sulla cultura. Intanto, perché il rivenuto ha tempi lunghi; ma è talmente vasto e articolato, da assumere più il carattere di un’economia esterna che di un profitto immediatamente realizzabile.

Ma torniamo ai nostri problemi. Emblematico di questo atteggiamento sfavorevole degli anni precedenti è stato il dimezzamento secco che negli ultimi vent’anni hanno subito gli stanziamenti che il Ministero del Ministero per i Beni e le attività culturali ha potuto mettere a disposizione del finanziamento delle Fondazioni e istituti culturali.

I contributi di questo Ministero sono regolati in base alla legge 534 del 1996, secondo principi che sono ora in necessario e opportuno adeguamento, per tabelle triennali.

Come si può vedere dalla figura  qui allegata, in venti anni, dal 1992 al 2012 i contributi Mibac oggi Mibact sono dimezzati: nel 1992 erano più di undici milioni di equivalenti euro, nel 2012 erano cinque milioni e 430.000 euro. (Anche il numero delle istituzioni ammesse a contributo è diminuito corrispondentemente a quasi la metà). Nel 2013 si voleva diminuirli di un altro 19% ma grazie al Decreto cultura ( n. 91/2013 convertito con legge n. 112/2013) si ripristinarono poi i valori 2012 che sono stati mantenuti anche nel 2014.

 

Quale  programmazione delle loro attività possono fare gli Istituti e le Fondazioni in questo contesto? Quali prospettive possono dare ai giovani che impegnano nelle loro attività? E oggi? Si pensa di diminuire ancora? Sarebbe veramente condannare all’inedia o addirittura alla chiusura talune Fondazioni e istituti, con una perdita secca per il nostro paese. Questa conferenza lo vuol dire alto e forte. In tema di tagli abbiamo già dato: non è possibile subirne altri.

Altre  istituzioni culturali sono  finanziate  dal Miur. Anche questi fondi hanno conosciuto una drastica riduzione. Ma non solo. Per quanto riguarda la  tabella triennale del MIUR  (2011- 2013) devono ancora essere corrisposti molti saldi relativi alla ultima annualità 2013, mentre non risulta a tuttoggi pubblicato il bando per la tabella relativa al triennio 2014-2016.

Sempre a livello nazionale ci sono poi i contributi del Mae per gli enti internazionalistici e naturalmente anche questi fondi hanno conosciuto un forte ridimensionamento.

Naturalmente c’è poi il “continente” dei finanziamenti regionali, anch’essi in radicale diminuzione. Su questo vorremmo un confronto al tempo stesso più globale e approfondito con la Conferenza delle Regioni. Lo stesso vale per l’Anci, l’Associazione dei Comuni italiani. Anzi, salutiamo il fatto che alla guida di questi due organismi vi siano due torinesi e che quindi questo segni l’inizio di una svolta nella collaborazione e nel comune lavoro.

Non si  tratta solo di una diminuzione del  finanziamento pubblico, pur gravissima, in linea di principio e per le sue ripercussioni.

Direi che  manca ancora  la volontà di “ fare sistema”, di collegare le fondazioni e istituzioni culturali in una rete sia di livello nazionale che regionale, che nel territorio, in modo da ottimizzare le risorse pubbliche e di permettere di acquisirne altre, cioè a dire aprire la strada alla facilitazione dell’intervento del privato. La strada all’intervento  privato è oggi presente per le istituzioni pubbliche grazie ad una svolta: quella dell’approvazione dell’Art Bonus. Ma, com’è noto, al momento questa possibilità non si è estesa ai soggetti privati come i nostri.

Abbiamo bisogno insomma di un punto di riferimento complessivo  che incoraggi le attività delle fondazioni  e degli istituti culturali. Per questo e non per fatti nominalistici, ci siamo battuti con successo perché nella ristrutturazione del Mibact,  alla voce Direzione Biblioteche rimanesse la dizione “e degli istituti culturali”.

In relazione a tutto ciò, noi proponiamo la costituzione di un Osservatorio Nazionale  che censisca tutte  le fondazioni e istituzioni culturali e che sia non solo un’anagrafe, ma anche strumento di  conoscenza delle loro attività e delle loro problematiche.

 

La  strategia che proponiamo.

La ristrettezza delle condizioni finanziarie non esime dalla necessità di avere comunque una strategia. Anzi, proprio quanto più le risorse finanziarie mancano, tanto più c’è bisogno di una strategia.

Noi proponiamo tre filoni di intervento: la messa in rete degli istituti e delle fondazioni culturali (e delle loro riviste) anche attraverso la digitalizzazione dei loro patrimoni culturali; l’europeizzazione e l’internazionalizzazione della loro attività; l’incentivo all’intervento dei privati.

 

a) La messa in rete, per una maggiore diffusione dei nostri patrimoni e di conoscenza delle nostre attività. Noi ci siamo attrezzati con un sito dell’AICI, che ha diffuso e segue i contenuti di questa conferenza. Abbiamo compiuto nel 2012 e ora stiamo aggiornando una ricerca su noi stessi, proprio perché le attività culturali si conoscano e si arricchiscano reciprocamente. Ma è solo un inizio. Abbiamo appena detto che proponiamo un Osservatorio sulle Fondazioni e gli Istituti Culturali. Ma perché la “messa in rete” abbia successo, vorremmo che il tema della cultura entrasse appieno nell’Agenda digitale italiana e che le Fondazioni e gli Istituti di Cultura venissero aiutati ed incentivati concretamente a mettere in rete il loro patrimonio culturale. Tutto questo ha bisogno di un’intensa collaborazione con il Miur e l’Università. Siamo entrati come AICI nel piano di ricerca del Miur e vorremmo un’intensa collaborazione tra questi due momenti. La messa in rete significa anche attenzione dei media, dalla televisione, alla radio, alla stampa e anche nuovo modo di comunicare a partire da noi stessi. Ciò cominciando proprio dallo strumento della rete e delle innovazioni nel campo dell’informatica e della tecnologia nel senso ampio che questa comporta. Un tempo poche copie di una rivista potevano fare opinione nel modo di pensare delle classi dirigenti del paese. Ora non è più così. E anche noi ci dobbiamo adeguare. Bisogna metterselo bene in mente.

 

b) Europeizzazione, internazionalizzazione. Abbiamo voluto questa conferenza proprio a seguire dello svolgimento del vertice dei ministri della cultura dell’Unione Europea nel semestre di Presidenza Italiana. Intanto per onorare questa presidenza, e per compiere una scelta. Ormai, lo sappiamo bene, le lingue e le culture europee non si difendono una contro l’altra, ma in sinergia l’una con l’altra. La cultura è entrata a pieno titolo tra le materie finanziabili nel programma Horizon 2020 della Unione Europea. E’ un grande risultato. Potenzialmente potrebbe sopperire alla diminuzione dei finanziamenti pubblici  ma sappiamo bene che molte delle nostre Fondazioni non ce la fanno a sostenere gli oneri connessi alla partecipazione a fronte dell’incertezza del risultato. Qui vi è un ruolo potenziale del Ministero, quando ci si rivolge direttamente all’Unione Europea, e vi sono i ruoli che possono giocare le varie regioni per quanto riguarda i programmi che passano attraverso di loro. Proponiamo un vero e proprio Fondo per cofinanziare i progetti delle Fondazioni e degli Istituti Culturali. Ma si possono stabilire sinergie con le imprese: perché non pensare che determinati progetti presentati dalle imprese del nostro paese non possano avvantaggiarsi dalla collaborazione e dalla partecipazione anche delle Fondazioni culturali? Ecco perché abbiamo voluto qui momenti importanti di confronto con il mondo dell’impresa.

 

c) L’incentivo all’intervento dei privati. Il decreto che contiene la defiscalizzazione dei contributi dei privati alle attività culturali pubbliche, convertito nella legge n. 175 del 30 luglio 2014 apre la strada ad un’importante ampliamento della spesa per la cultura. Si tratta dell’istituto dello ArtBonus – Misure per favorire il mecenatismo culturale attraverso un credito di imposta al 65% per gli anni 2014 e 2015 e al 50% per il 2016. Ne vogliamo qui sottolineare tutta l’importanza. Naturalmente c’è da attendersi che quest’intervento si dirigerà a favore dei beni culturali più noti e popolari. Soprattutto peraltro esso riguarda solo i beni e le istituzioni pubbliche. E’ comunque un provvedimento che per la dimensione degli sgravi assume una portata storica. Il problema è come defiscalizzare, e quindi incentivare il contributo dei privati alle nostre Fondazioni e Istituti culturali. Se le prospettive del finanziamento pubblico sono a restringersi, c’è bisogno che anche il nostro mondo delle Fondazioni e degli Istituti culturali possa aprirsi al contributo dei privati. E non bastano le attuali defiscalizzazioni a favore delle imprese. Vogliamo su questo aprire un confronto e un dialogo con il governo.

 

Conclusioni.

Anni fa un celebre politologo Francis Fukuyama, dopo la caduta del muro di Berlino ebbe a parlare di “fine della storia”. Oggi ci troviamo di fronte a fenomeni culturali, sociali, economici del tutto nuovi o di difficile interpretazione. Ad esempio, in determinate aree della nostra politica, internazionale, la sostituzione alla precedente dialettica tutta politica, di conflitti caratterizzati dall’estremismo o dal radicalismo religioso. La vicenda dell’Ucraina ci  dimostra quanto sia complesso e difficile lo stesso stato degli equilibri e della pace nell’Europa intesa come continente europeo. Il processo di globalizzazione, se ha dimostrato le sue potenzialità, ha evidenziato anche i suoi problemi.  A livello economico-finanziario, la crisi scoppiata nel 2007 negli Usa e spostatasi dal 2008 in avanti nell’Europa e in particolare dell’Europa dell’Euro, vede la dialettica tra chi ritiene determinante per una possibile ripresa l’azione dal lato della domanda e da chi invece ritiene determinante l’azione sul piano dell’offerta. Veri e propri continenti di ricerca inesplorati si aprono. Le stesse forze politiche e gli stessi responsabili  istituzionali hanno la necessità di confrontarsi con un vivace e fecondo dibattito culturale nel senso più ampio del termine.

Viene qui da richiamare quanto affermava Marino Sinibaldi nella “Intervista sulla cultura” che gli ha fatto Giorgio Zanchini: portare la conoscenza e quindi la liberazione dell’uomo, Un millimetro in là. Non basta conservare, dobbiamo innovare. Non basta condividere il sapere tra pochi, ma bisogna allargare la potenzialità della conoscenza a tutti.

Ecco, ciascuna nel proprio ambito peculiare ed originale, le istituzioni culturali italiane sono di fronte a questa duplice sfida: rispondere al bisogno più generale di identità e quindi di coesione del nostro paese e dall’altro lato dimostrare di sapersi muovere nel nuovo contesto scientifico, tecnologico, ideale e politico di un mondo in profonda, rapida e serrata trasformazione.

Tale  è l’obiettivo più generale che ci poniamo, questo è l’animo con cui ci accingiamo a confrontarci con le istituzioni, le associazioni, i media, gli esperti che hanno accolto il nostro invito ad essere qui con noi in questi giorni a Torino.

 

Visualizza qui le slide di accompagnamento > http://prezi.com/qc665gerogot/litalia-e-cultura/

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